In queste righe ti voglio parlare dell'
inflazione.
Perché, distratti dalla leggerezza del digitale, che ha annullato nel bene e nel male le distanze degli incontri e degli acquisti, ci siamo semplicemente dimenticati di un particolare di non secondaria importanza.
L'economia è ancora pesantemente fisica.
Ciò che in pochi secondi compriamo in rete si muove ancora su navi che solcano gli oceani, su mezzi che intasano le vie cittadine.
Addirittura si inquina di più.
Ed è paradossale che la vera emergenza del momento ci riporti a un clima da anni Settanta e alla cruda pesantezza delle produzioni tradizionali.
Alla polverosa realtà dei metalli e delle materie prime che non si estraggono come un bitcoin.
Se è comprensibile che tra gli effetti dei tanti lockdown vi sia un autentico boom di prodotti informatici, causa di una carenza mondiale di semiconduttori, lo è meno se si pensa qual é oggi in realtà l'oggetto del desiderio di tanti operatori:
un container, un semplice cassone di ferro.
Non si riesce a trovarne uno libero per far viaggiare semilavorati e prodotti finiti lungo interminabili catene del valore.
E quelli che ci sono, vuoti, sono là dove non servono.
L'improvvisa crescita della domanda mondiale, superiore a qualsiasi più rosea previsione, ha messo a nudo la debolezza delle principali rotte e ha causato l'accumulo di giganteschi ritardi nelle forniture dei componenti industriali.
Rispetto a un anno fa, il costo dei noli è semplicemente sestuplicato.
L'incidente della EverGiven, che ha ostruito per giorni il canale di Suez, ha dimostrato quanto sia fragile la rete mondiale dei collegamenti marittimi, grazie ai quali si muove il 90% delle merci.
Chi ha la catena corta se la cava, chi ha invece dislocato i fornitori nell'Estremo Oriente soffre tremendamente.
Pensa che Ducati non ha mai avuto in magazzino così tante moto non finite.
Mancano i pezzi.
Non costano di più solo i trasporti.
Ci troviamo di fronte a qualcosa di assolutamente inedito nei mercati delle materie prime.
Con prezzi alle stelle ma anche con una carenza fisica di prodotti.
Il petrolio, che oggi viaggia sui 70 $ a barile, soltanto pochi mesi fa ci faceva assistere al fatto che i venditori pagavano i compratori perché si accollassero l'onere di tanti carichi rimasti in attesa nei porti.
Causa la pandemia, il ritmo delle estrazioni ha subito nei mesi scorsi un forte calo.
I minerali di ferro, indispensabili nell'industria siderurgica, hanno superato per la prima volta i 200 $ a tonnellata.
Vi è una grande domanda insoddisfatta di acciaio, in particolare di laminati d'acciaio.
Il rame, considerato il metallo-guida per eccellenza, ha toccato alcune settimane fa il suo massimo storico a 10.747,50 $ a tonnellata, e beneficia anche della grande corsa all'elettrico.
E dei programmi di sostenibilità traggono vantaggio anche i prezzi dell'alluminio, cresciuti in un anno di circa il 20%.
In forte rialzo anche le materie prime agricole.
La domanda non è solo tornata ai livelli pre-Covid, ma è addirittura esplosa per la ricostituzione delle scorte che l'anno scorso, nel dramma della prima ondata, erano state ridotte al minimo anche per gestire meglio il capitale circolante.
Davanti all'ignoto della pandemia ci si era preparati al peggio, eccedendo nel pessimismo.
A ciò si è aggiunta la crisi dello shopping internazionale.
Si blocca Suez e il sistema va in crisi.
Basta un'improvvisa tempesta negli Stati Uniti, o l'attacco cibernetico che blocca un oleodotto, per creare incertezza e instabilità.
Il riflesso nelle quotazioni è immediato.
Una piccola fiammata inflazionistica è già in atto, come conferma anche l'ultimo dato sull'andamento dei prezzi al consumo negli Stati Uniti (+4,2% su base annua).
Un surriscaldamento, non privo di fenomeni speculativi, è in atto per tutte le forniture legate al settore dell'edilizia, grazie agli incentivi e in particolare all'ormai mitico 110%.
Questo aumento dell'inflazione può allora diventare strutturale o è solo un fenomeno transitorio?
Il ritorno dell'inflazione impatta anche inevitabilmente sui nostri risparmi e sugli investimenti, e tenere troppa liquidità infruttifera ferma sui conti è controproducente, in quanto, nel medio-lungo periodo, il suo valore viene eroso senza
neanche accorgersene.
Spesso chi la detiene la vede come un capitale di sicurezza a disposizione in caso di necessità, ed è dunque più reticente a investirlo.
Ma indirizzare in modo più efficiente tale liquidità è certamente possibile.
Sarebbe opportuno allora valutare il da farsi, per non avere la sicurezza di incappare in una perdita certa!