Partiamo da un concetto piuttosto semplice e chiaro: la questione pensionistica non può (più) essere trattata con sufficienza.
Quasi ogni giorno i giornali ce lo ricordano.
Al giorno d'oggi, infatti, non si tratta più di costruirsi una pensione integrativa.
Si tratta di costruirsi una vera e propria pensione!
Il tema della costruzione di una propria pensione privata, da integrare un domani a quella pubblica, è un tema centrale, a mio avviso, per tutti.
Tutti abbiamo infatti bisogno di un futuro pilastro pensionistico, ognuno con le sue diverse sfumature.
E' ovvio però, che il problema delle (insufficienti) pensioni future non colpirà tutti allo stesso modo.
È allora importante comprendere chi, tra le diverse categorie di lavoratori, è maggiormente esposto al rischio "pensione da fame", e quali misure possono essere adottate per mitigarlo.
Per molte persone, i contributi versati all'INPS rappresentano il principale investimento della vita.
Nel caso di un lavoratore dipendente, parliamo circa di 1/3 dello stipendio.
In quanti risparmiano e investono 1/3 del loro stipendio mensile?
Ma quanto rendono i contributi versati all'INPS?
L'INPS li rivaluta in base alla variazione del PIL nominale del paese degli ultimi 5 anni.
E l'Italia, in quanto a crescita economica, non è propriamente una tigre asiatica...
Ebbene, la media degli ultimi 15 anni è dell'1,19%, a fronte però di un'inflazione media del 2%.
Il rendimento che offre lo Stato sui contributi versati, non copre nemmeno dall'inflazione!
La necessità di costruirsi un solido futuro previdenziale varia sensibilmente in base a tre principali fattori: il fattore anagrafico, quello professionale, e quello reddituale.
Ciascuno di questi tre, influisce in modo diverso sulla capacità di mantenere un tenore di vita adeguato una volta raggiunto il traguardo pensionistico.
Vediamoli assieme uno alla volta.
. ANAGRAFE
Sotto questo aspetto, particolare attenzione va risposta sui giovani.
Il loro problema principale riguarda il metodo contributivo, attraverso il quale verrà calcolata un domani la loro pensione.
Perché, chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 si trova totalmente nel regime contributivo.
A differenza del precedente sistema retributivo, che guardava soprattutto ai guadagni degli ultimi anni di carriera, consentendo così di poter giungere anche all'80% (se non oltre) dell'ultimo reddito da lavoro, il metodo contributivo è più difficile
da stimare, e guarda alla reale storia contributiva e professionale di ogni lavoratore.
Ciò significa che i giovani, con carriere spesso frammentate e redditi incerti, potrebbero trovarsi a ricevere una pensione drammaticamente inferiore rispetto agli standard del passato.
. CARRIERA PROFESSIONALE
Guardando invece alla professione, un lavoratore dipendente è decisamente più tutelato di un autonomo.
Ma anche dentro gli autonomi ci sono ampie differenze.
Per un dipendente del settore privato, il tasso di sostituzione (percentuale del reddito da lavoro sostituita dalla pensione pubblica) è stimato attorno al 66% nel 2040.
Per gli autonomi con gestione separata INPS (commercianti, artigiani...), questa percentuale scende al 46% già nel 2030, mentre nel caso dei liberi professionisti si può stimare addirittura al 30-35% dell'ultimo reddito da lavoro.
Percentuali da brividi.
Le casse previdenziali dei professionisti (avvocati, commercialisti...), pur essendo ora private, non garantiscono loro un futuro roseo.
Le aliquote contributive variano tra il 10 e il 16%, ma non sono sufficienti a generare una pensione adeguata.
Ad esempio, un commercialista con un reddito annuo di 60.000 €, potrebbe facilmente ritrovarsi a percepire una pensione pubblica di circa 18.000 €, pari al 30% del reddito lavorativo.
Questo è un segnale chiaro: i professionisti devono prendere in mano la loro situazione previdenziale, magari diversificando i loro investimenti oltre i versamenti obbligatori alla rispettiva cassa.
. REDDITI
Se le prestazioni pensionistiche si quantificano sulla base dei contributi versati, come potrà avere un problema di pensione chi guadagna molto?
Il problema non sarà tanto in termini assoluti, ma in termini relativi, e riguarda i massimali di reddito.
Molto probabilmente chi percepisce redditi elevati ignora il fatto che, oltre un certo livello di reddito, non si versano contributi e, di conseguenza, il contributo alla pensione si riduce.
Per una persona abituata a percepire in età lavorativa 4-5.000 € al mese, sarà sufficiente una pensione di 1.800 €?
Prendere 3.000 € al mese di pensione se prima se ne guadagnavano 15.000 €, potrà bastare?
È quindi fondamentale pianificare strategie di risparmio e investimento aggiuntive, per poter ambire a un adeguato tenore di vita.
Tirando un po' le conclusioni, chi dovrà preoccuparsi di più guardando al futuro?
Mentre i pensionati di oggi possono starsene relativamente tranquilli, le generazioni più giovani affronteranno un futuro pensionistico molto incerto.
I lavoratori dipendenti vedranno un calo del tasso di sostituzione, ma potranno comunque godere di una certa protezione, e per loro il problema non sarà enorme.
Autonomi e liberi professionisti vedranno tassi di sostituzione molto, molto ridotti.
Talvolta anche sorprendenti (in senso negativo) e difficilmente credibili.
Chi ha dei redditi elevati, vedrà la pensione non seguire il proprio reddito.
A molti servirà un drastico cambio di paradigma culturale e finanziario per poter pensare ad un futuro migliore.
La previdenza non va vista come una questione lontana nel tempo.
La pensione integrativa va costruita nel tempo, e grazie al fattore tempo.
Il nostro Stato avrà sempre meno disponibilità, e il problema verrà quindi trasferito al singolo
cittadino.
La pensione è pertanto sempre più un importantissimo progetto di risparmio!