Il filosofo britannico Edmund Burke sosteneva giustamente che "
quanto più grande è il potere, tanto più pericoloso è l'abuso".
Ma realmente, chi comanda il mondo?
A sentire l'opinione pubblica la risposta è quasi scontata: i grandi giganti della tecnologia.
Viviamo infatti in un'era in cui la tecnologia non è più soltanto una forza di innovazione, ma modella la politica globale e le scelte sociali.
Negli ultimi due decenni l'ascesa di colossi digitali ha contribuito a creare una vera e propria oligarchia, in cui una manciata di aziende domina la rete, influenzando la vita di miliardi di persone.
E a nulla sono valsi gli appelli di professori, analisti e politici perché le Antitrust mondiali intervengano su questo potere.
Al di fuori di Pechino, dove l'influenza delle aziende tecnologiche è addirittura legata al partito comunista cinese, a detenere il controllo delle risorse digitali sono sei gruppi: Amazon, Google, Microsoft, Meta, Apple e l'impero di Elon Musk.
Questi giganti tecnologici non solo accumulano profitti su profitti, ma condizionano i mercati, le norme e le politiche internazionali.
Questi gruppi sono riusciti a imporre la "dittatura dell'algoritmo" che porta alla massima semplificazione delle opinioni e genera le tesi più radicali.
E la situazione è probabilmente destinata a peggiorare ulteriormente con lo sviluppo dell'intelligenza artificiale.
In questo scenario, stanno emergendo personaggi che pensano di essere al di sopra delle dinamiche democratiche.
Viene ovviamente subito in mente lo stesso Elon Musk con la sua crescente rilevanza nell'amministrazione Trump, ma non è che i vari Bill Gates, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos o Larry Page si siano comportati tanto diversamente.
Non saranno mai stati coinvolti direttamente nel governo ma, dietro le quinte, hanno sempre svolto un ruolo determinante sia nei governi democratici che in quelli repubblicani.
Ma allora, sono veramente loro i reali padroni del potere?
No.
Il vero potere è in mano alla finanza.
Non quella delle grandi banche, ma quella dei grandi fondi americani.
Vediamo assieme i più importanti al mondo.
BlackRock gestisce un patrimonio che ha recentemente toccato la cifra record di 11.600 miliardi di dollari.
Guidata da Larry Fink, la Roccia Nera fa sul serio anche in tema di intelligenza artificiale, con in programma un maxi-piano di assunzioni in India (circa 1.200 dipendenti), utile a espandere due hub che potenzieranno ulteriormente le capacità del gruppo.
Troviamo poi The Vanguard Group, società con sede a Malvern (Pennsylvania), con circa 9mila miliardi in asset.
Segue State Street, holding con sede a Boston fondata nel 1792, seconda banca più antica degli Stati Uniti.
Gestisce un patrimonio di oltre 5 trilioni di dollari e 46,6 trilioni in amministrazione.
Fidelity controlla invece 5,8 trilioni di dollari e 15 di asset in amministrazione.
Il dominio di queste aziende è tale che, collettivamente, questi quattro gestori controllano le più importanti aziende tecnologiche (Amazon, Google, Microsoft, Meta ed Apple).
Questo conferisce loro un'influenza notevole sulle decisioni aziendali, dalle nomine dei consigli alle politiche di remunerazione, fino alle strategie a medio-lungo termine.
Ma il peso di questi fondi non si limita al controllo delle aziende private nel settore digitale, ma si estende anche alle società pubbliche che gestiscono infrastrutture vitali per la sovranità nazionale, come energia, acqua e trasporti.
Questa concentrazione è aumentata a dismisura soprattutto dopo la crisi del 2008, dalla quale sono usciti rafforzati grazie alla loro minore esposizione al sistema dei mutui subprime.
In pochi anni, il potere che un tempo era appannaggio esclusivo delle banche si è trasferito nelle mani di questi giganti finanziari, trasformando radicalmente gli equilibri economici globali.
Un aspetto fondamentale di questa egemonia è rappresentato dalle partecipazioni incrociate.
Chi è il principale azionista di BlackRock?
Vanguard, che ne detiene l'8,6% del capitale.
E il primo socio di Vanguard?
La Roccia Nera, con il 7,6% di quote.
State Street, dal canto suo, è partecipata da entrambi.
Attraverso una rete di partecipazioni a loro volta incrociate, i quattro fondi detengono poi il controllo delle principali società quotate.
Le stesse criptovalute, celebrate da più parti come un simbolo di libertà economica, rischiano di trasformarsi come un ulteriore strumento di controllo, attraverso prodotti costruiti ad arte dai grandi gestori.
Sarebbe allora giunto il tempo che la politica e le Antitrust mondiali cominciassero realmente a interessarsi, oltre che dei big tech, anche del potere esercitato dai grandi gestori USA.